OOPart (Italiano)

22 Aprile 2014

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  1. Sylvhia
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    OOPArt


    OOPArt è un termine che deriva dall'acronimo inglese Out Of Place ARTifacts (reperti o manufatti fuori posto), coniato dal naturalista e criptozoologo americano Ivan Sanderson per dare un nome a una categoria di oggetti che sembrerebbero avere una difficile collocazione storica, ossia rappresenterebbero un anacronismo. Vengono classificati come OOPArt tutti quei reperti archeologici o paleontologici che, secondo comuni convinzioni riguardo al passato, si suppone non sarebbero potuti esistere nell'epoca a cui si riferiscono le datazioni iniziali.

    Da questi ritrovamenti, è nato il filone dell'archeologia misteriosa o pseudoarcheologia. La comunità scientifica non ha mai ritrovato, in tali oggetti, elementi o prove che li facessero apparire come "fuori dal tempo", relegando le interpretazioni volte a sottolineare presunti anacronismi nell'ambito della pseudoscienza. Molti OOPArt hanno
    infatti ricevuto un'interpretazione assolutamente in linea con le attuali conoscenze archeologiche e scientifiche. In tutti quei casi in cui non si è data una risposta, ciò si deve al fatto che non si è ancora capito il tipo di utilizzo che aveva l'oggetto o la descrizione dell'oggetto appare fumosa e inesatta oppure non si conosce il
    possessore dell'oggetto tanto da farne dubitare circa l'effettiva esistenza.


    La presunta validità scientifica degli OOPArt


    Secondo le interpretazioni di alcuni sostenitori degli OOPArt alcuni di questi oggetti metterebbero in crisi le teorie scientifiche e le conoscenze storiche consolidate. Tuttavia solo in rari casi tali affermazioni hanno avuto il sostegno della scienza, ad esempio gli oggetti possono venire in seguito spiegati come appartenenti effettivamente all'epoca in cui sono stati fabbricati, senza che alcuna conoscenza dei fatti storici possa essere messa in discussione. Così è accaduto per la cosiddetta macchina (o meccanismo) di Anticitera, un sofisticato calcolatore astronomico, generalmente considerato dai media e dall'opinione pubblica un oggetto tecnologicamente troppo avanzato per appartenere all'età ellenistica, ma che in realtà è perfettamente compatibile con le conoscenze tecniche e astronomiche degli antichi greci post alessandrini, pur rimanendo un reperto unico per complessità e manifattura.

    Macchina di Anticitera foto



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    La macchina di Anticitera, nota anche come meccanismo di Antikythera, è il più antico calcolatore meccanico conosciuto, databile intorno al 150-100 a.C. Si tratta di un sofisticato planetario, mosso da ruote dentate, che serviva per calcolare il sorgere del sole, le fasi lunari, i movimenti dei cinque pianeti allora conosciuti, gli equinozi, i mesi, i giorni della settimana e – secondo un recente studio pubblicato su Nature] – le date dei giochi olimpici. Trae il nome dall'isola greca di Anticitera (Cerigotto) presso cui è stata rinvenuta nel relitto di Anticitera, resti di un naufragio avvenuto nel secondo quarto del I secolo a.C., contenenti, insieme a numerosi oggetti di quel tempo, anche la "macchina". È conservata presso il Museo archeologico nazionale di Atene.



    OOPArt che secondo i sostenitori sono ancora da verificare



    Muro a secco in giganteschi blocchi di diorite nel sito di Hatun Rumiyoc, a
    Cuzco.



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    Cuzco (antica capitale del Perù) e alcuni siti in Perù: in una località chiamata Hatun Rumiyoc esistono enormi complessi edificati con blocchi di diorite, molti dei quali dal peso di diverse tonnellate, modellati con un precisione tale da sembrare a molti incompatibile con le tecnologie dell'epoca. Sebbene l'archeologia ufficiale attribuisca queste costruzioni agli Incas, la differenza tra le costruzioni "a misura umana" messe in opera con l'aiuto di malte, e le gigantesche composizioni a puzzle che sorgono nei paraggi fanno sorgere dei dubbi anche negli studiosi. Essendo però non suscettibili di datazione (è impossibile eseguire test precisi data la messa in opera delle pietre e la
    loro grandezza) non costituiscono per la comunità scientifica alcuna prova circa l'esistenza di altre civiltà. Nei diversi siti si notano, inoltre, alcune strutture realizzate con misure diverse dagli standard costruttivi. Le porte sono infatti di forma trapezoidale e con un'altezza che solitamente è intorno ai tre metri. La spiegazione ufficiale è che molte culture sovente costruivano porticati o strutture più grandi del normale per incutere un'impressione di solennità e grandezza. Alcuni sostenitori della cosiddetta pseudoscienza sostengono invece che siano una prova dell'esistenza di esseri diversi da noi, vissuti o passati dalla terra migliaia di anni fa.



    Puma Punku, nel sito di Tiwanaku, in Bolivia.



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    Puma Punku: "Puma Penku" significa "Porta del Puma".
    Molti i misteri che riguardano questo sito in Bolivia. Ma su di un punto tutti gli archeologi sembrano concordare, la loro datazione. Le rovine, che si devono all'altrettanto misteriosa civiltà Tiahuanaco - sviluppatasi tra Bolivia, Cile e Perù - risalgono al 1200 a.C. ossa a circa 3000 anni fa[9]. Si tratta di strutture megalitiche in granito e diorite (roccia estremamente dura e quindi molto difficile da lavorare,
    con gli oggetti rozzi che la storia classica attribuisce a quel periodo, anche se va precisato come altri popoli, come gli antichi Egizi, riuscissero a lavorarlo). Inoltre, il trasporto di megaliti richiede sforzi sovrumani se non si è in possesso di apparecchiature tecnologiche (strumentazione che gli uomini del tempo, secondo i
    sostenitori degli OOPArt, non potevano possedere). Inoltre le cave di granito e diorite si trovavano a molti chilometri dalla città, da 20 fino a 90 Km, distanze da percorrere attraverso l'arido deserto boliviano (va precisato, tuttavia, come altri popoli della remota antichità, come gli antichi Egizi, riuscissero a superare tali difficoltà
    tecniche). Come già detto più sopra, i materiali usati sono di difficile lavorazione per le tecnologie dell'epoca; ciononostante i lavori mostrano un'altissima precisione. Le pietre, infatti, sono lavorate in modo tale da formare incastri perfetti e assemblate da un sistema complesso di pesi e incisioni nella roccia[non chiaro]. Anche qua si
    trovano strutture costruite con standard metrici più grandi del normale, come i gradini che portano al tempio, alti 80 centimetri.


    Rovine di Nan Madol



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    Nan Madol e alcuni siti in Micronesia. Qui si trova ciò che si considera il reperto più importante tra quelli rinvenuti in tutta l'area dei Mari del Sud. Si tratta delle rovine di un grande tempio, una struttura che misura 90 metri di lunghezza e 18 di larghezza, con mura che nel 1874 erano alte nove metri e che a livello del suolo presentavano uno spessore di un metro e mezzo. Sulle pareti sono tuttora visibili i resti di alcune incisioni che rappresentano molti simboli sacri di Mu. L'edificio presentava canali e fossati, sotterranei, passaggi e piattaforme, il tutto costruito in pietra basaltica. Non si riesce a risalire precisamente da quale popolo e con quali tecnologie sia stato costruito.



    http://it.m.wikipedia.org/wiki/OOPArt
     
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